Urbem fecisti quod prius orbis erat, la frase tratta dal poemetto del V secolo De reditu suo di Rutilio Claudio Namaziano, incarna il clima di decadenza e lo squallore dei tempi che l’autore, un aristocratico romano pagano, attribuisce ai Barbari ed all’emergente Cristianesimo; essa esprime in modo sintetico anche la condizione ed il ruolo che dovrebbe essere dell’architetto contemporaneo: hai fatto una città di quello che prima era un mondo.
Il Mondo nella concezione delle culture tradizionali, definibili come “religiose”, si fonda ontologicamente mediante la manifestazione del sacro, della ierofania che consente all’uomo religioso di spezzare la continuità dell’omogeneità spazio-temporale del “Caos” al fine di enucleare il “Cosmo” e rappresentare nel reale la propria cosmogonia. In questo contesto l’essere dell’uomo nel mondo e la realtà in cui interagisce e produce cultura sono parte inscindibile dell’esperienza religiosa poiché, nelle culture tradizionali, l’essere s’identifica con il sacro: la dimensione culturale, che produce i miti, i riti e le opere, viene a coincidere esattamente con la dimensione e con l’esperienza esistenziale che trae origine dalla specifica concezione del Mondo.
Nella cultura occidentale contemporanea, che per Namaziano avrebbe incarnato lo stesso clima espresso nel suo “Ritorno”, l’uomo “areligioso” moderno si rapporta ad una dimensione esistenziale profondamente diversa poiché ha secolarizzato la cultura, avendo assunto il ruolo di soggetto ed operatore della Storia. Ma tale processo d’affrancamento dal sacro comporta la necessità continua di equilibrare quegli aspetti e quei valori che hanno prodotto la cultura in cui s’innescano e che sono rimasti inalterati nella struttura dell’inconscio dell’uomo moderno. Come è ormai acquisito “i contenuti e le strutture dell’inconscio sono il risultato di situazioni primordiali antichissime, soprattutto critiche, ed è per questo che l’inconscio è avvolto in un’aura religiosa”(1) la quale trae origine dai caratteri genetici della specie umana. Pertanto i processi di produzione della cultura nell’ambito della civiltà contemporanea non possono prescindere dalla propria matrice archeo-logica(2) che li radica alla loro origine, alla concezione del mondo in cui si sono formati e, quindi, alle ragioni della loro esistenza, nonostante siano privati del portato ontologico in cui si sono sviluppati. La nostra ontologia si fa debole per analizzare, comprendere e sintetizzare gli effetti indotti dalle ontologie forti dalle quali si è affrancata.
Fare una città, un borgo o un’architettura, di quello che prima era un mondo, significa proiettare nel luogo antropizzato tutto ciò che riguarda le aspettative, consce ed inconsce, dei discendenti di quegli uomini “religiosi” che avevano una loro idea di mondo e hanno interagito e trasformato in modo specifico il luogo in cui si va ad operare, facendo di questo luogo il “Centro del Mondo”: di quello specifico mondo. Solo a partire da ciò si costituisce una nuova struttura ed un nuovo linguaggio dell’architettura(3).
(1) Mircea Eliade, Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, Torino 1984, pagg. 132-133
(2) Vedi STEFANO MARTINELLI, L’archeologia del sapere architettonico in MASSIMO FAGIOLI, Figure – progetti di recupero ed architettura d’interni, Edizioni Il Ponte, Firenze 1999, pagg. 14-19
(3) Vedi STEFANO MARTINELLI, Borgo Novo di Gaiole in Chianti – il progetto, Aion Edizioni, Firenze 2003