La città di San Giovanni Valdarno è una Terra Nuova fondata da Firenze con il nome di Castel San Giovanni nel 1299, quando a sovrintendere l’architettura e l’urbanistica fiorentina c’è Arnolfo di Cambio, uno degli artefici del clima di rinnovamento delle arti, oltre che dell’architettura, che si delinea proprio a partire dalla seconda metà del XIII secolo.
La fondazione della città diviene un’occasione importante per verificare tutta una serie di principi filosofici, religiosi e culturali in genere, precisamente riscontrati, che conferiscono proprio all’architettura ed all’urbanistica un ruolo determinante nella definizione dei luoghi come rappresentazione “ideale” sulla terra, di quella dimensione cosmogonica dove l’uomo ha un ruolo sempre più centrale.
In virtù di una serie di studi recenti si va ormai concretizzando l’ipotesi che San Giovanni Valdarno, o meglio Castel San Giovanni, sia la prima “città ideale” costruita due secoli prima della sua formulazione teorica. La prova scientifica più evidente si può riscontrare nel dipinto su tavola “Città Ideale” del Palazzo Ducale di Urbino, esposto nella Galleria Nazionale delle Marche, realizzato tra il 1480 ed il 1490, di autore ignoto, di scuola fiorentina, probabilmente Giuliano da Sangallo.
Attraverso la fotogrammetria è stata ricavata la pianta originaria sulla quale è stata costruita la rigorosa prospettiva del dipinto ottenendo una corrispondenza perfetta con la pianta della Piazza centrale di San Giovanni. In effetti anche a posteriori si vede come il fondale è costituito da edifici che ancora oggi, seppur modificati, definiscono la stessa piazza ed è facile anche vedere come l’edificio centrale a pianta circolare è nella posizione esatta del Palazzo d’Arnolfo a pianta quadrata. Evidente come la trasformazione dal quadrato al circolare fosse tutta orientata all’enfatizzazione di questo carattere “ideale”. In effetti se un pittore toscano di fine quattrocento avesse dovuto cercare un luogo dove realizzare l’opera, non poteva che scegliere San Giovanni, proprio perché allora era l’unico spazio urbano in Europa fondato secondo quei principi di “idealizzazione urbana” che Arnolfo di Cambio stava introducendo nel complesso tessuto di Firenze.
Dipinto su tavola “La Città Ideale” realizzato tra il 1480 ed il 1490, di autore ignoto, di scuola fiorentina, probabilmente Giuliano da Sangallo
Nella grande e luminosissima piazza centrale, di San Giovanni Valdarno (già Castel San Giovanni), larga 80 braccia fiorentine, confluiscono anche i caratteristici chiassi, larghi 4 braccia, percorsi funzionali stretti, bui e maleodoranti, in origine erano delle fogne a cielo aperto, che corrono sul retro delle case a schiera del tessuto urbano del centro storico. Masaccio, il primo pittore “realista” della storia, nel 1401 è nato e cresciuto in una casa ubicata circa a metà del corso principale che, come tutte le altre, comunicava con la piazza anche attraverso uno di questi chiassi.
Castel San Giovanni (oggi San Giovanni Valdarno): Città Fondata dal Comune di Firenze nel 1299 su struttura agrimensoria di Arnolfo di Cambio riferita ad una precisa numerologia sacra. Sotto una proposta di riqualificazione attuale riferibile alla filosofia fondativa (Crediti Museo delle Terre Nuove Fiorentine di San Giovanni Valdarno
La critica si è sempre domandata come abbia potuto fare un singolo uomo, un giovane, visto che è morto a 27 anni nel 1428, in così breve tempo a trasformare in modo radicale la pittura nel senso di un realismo così esasperato, soprattutto considerando il fatto che gli altri artefici del rinascimento cominciano ad affermarsi solo dopo la sua morte, mentre i suoi contemporanei sono ancora legati al simbolismo lezioso del gotico internazionale.
Esiste un teorema scientifico: per rappresentare la realtà bisogna astrarsi da essa ed aver la possibilità di trasferire la stessa in immagini. Per noi oggi è un’operazione normale, visto che siamo abituati a leggerla nelle fotografie ed anche nel cinema, ma non era così semplice prima della fine dell’ottocento. Infatti nel corso del seicento e, successivamente i vedutisti settecenteschi, per avere effetti più reali possibili operavano attraverso la camera chiara: una scatola buia dove si poteva guardare attraverso un foro e vedere la realtà sintetizzata in un riquadro di luce, un po’ come con le macchine fotografiche.
Quando da bambino Tommaso di Ser Giovanni e di Mone Cassai, detto Masaccio non per il carattere ma per l’aspetto trasandato, sporco e maleodorante, scendeva nel “chiasso” percorrendo quei cento metri per raggiungere la piazza, il buio di questo incorniciava gli eventi di uomini e di cose che si rappresentavano nella ampia piazza luminosa, ai quali facevano da fondale le facciate dei palazzi ocra. Nel tempo in cui il bambino percorreva quei cento metri si astraeva ed estraniava dalla realtà che era rappresentata nella piazza, potendo ottenere lo stesso effetto che, tre secoli dopo, sarebbe stato cercato mediante la camera chiara: in questo modo era divenuto in grado di rappresentare la realtà scevra dagli orpelli simbolici e iconografici del tempo.
Così nascono le primissime opere della pittura del Rinascimento, attraverso l’esperienza che un giovanissimo pittore autodidatta ha potuto fare in un ambiente urbano “Ideale”.
Masaccio, Cappella Brancacci, Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra (particolare, autoritratto di Masaccio). In realtà sembrava che il Vasari individuasse l’autoritratto in un personaggio della scena del “Tributo” (vedi sotto), ma studi più recenti hanno fatto propendere sul fatto che quello sarebbe stato il ritratto del Brancacci, il committente, mentre lui si sarebbe rappresentato insieme a Masolino da Panicale, Leon Battista Alberti e Filippo Brunelleschi, che sono appunto identificabili proprio accanto a questo autoritratto.